Eventi del 700 – Miscellanea di eventi settecenteschi
Nel 1701 vi erano a Gignese 62 fuochi; nel 1781 il numero sale a 81.
Questa consistenza numerica, eccessiva rispetto alle possibilità offerte dalla modesta economia locale, comprende anche quelle persone che sempre più numerose erano costrette ad emigrare per trovare lavoro. L’atto del 1771 è eloquente sulle dimensioni dell’esodo, ci fornisce anche le prime indicazioni sull’attività degli emigranti: cavagnaro e calzolaio.
Sulle attività in loco le notizie sono scarse; preponderante doveva risultare comunque il numero dei contadini. Ad una attività tessile sono da collegarsi le folle, delle quali vi è qualche accenno in due memoriali inviati al vice intendente di Pallanza nel 1781.
Nel primo di essi, Maurizio Dotti scriveva che “sin dall’anno 1775 o 1776 è stata demolita una folla” di sua proprietà, “con fede del certificato del tegnamaro Giambattista Martellino… demolitore di detta folla”. Egli lamentava che, nonostante tale demolizione, la comunità aveva tassato di 57 lire di Piemonte.
Alla richiesta di spiegazioni, il sindaco Gio. Batta Martellini rispondeva che, dopo la lettura della supplica, il consiglio rilevava sì “la demolizione del narrato edificio di folla, ma essersi a quello surogato altro edificio di molino con pista da panico ed orzo”. Poiché la follai era stata demolita “prima della pubblicazione del nuovo censimento”,
Il vice intendente ordinava di esimere il Dotti “dal carico di detta folla”, in attesa che venisse fissata la tassa sul mulino. Nel secondo memoriale Carlo Antonio Dotti “implora la diminuzione dell’estimo di un piccolo molino ad una ruota, ed una folla da panni e mezzalana, posseduti da esso Doti, per il motiva che il redito d’ambi detti edifici non corrisponde ai pesi di cui vengono caricati”.
Delle tre attività accennate: legnamaro, molino e folla, quest’ultima doveva quindi risultare la meno redditizia. Lo Stato d’anime redatto dai parroci registra una contrazione del numero degli abitanti: dai 438 del 1756 si scende ai 403 del 1775.Il divario tra i dati del comune e quelli della parrocchia deriva dal conteggio degli emigrati. Nel 1775, delle 277 persone atte alla Comunione, 77 erano assenti, vale a dire la maggior parte degli uomini validi. Il vescovo Bescapè aveva introdotto l’uso di distribuire dei polizzini a quanti si comunicavano a Pasqua; in questo modo era possibile stabilire quanti eludessero il precetto pasquale, per l’applicazione delle pene previste .
Del 1777 è la legge sui cimiteri. Anticamente i cadaveri si seppellivano in sepolcri all’interno della chiesa o nelle immediate adiacenze di essa; in base alle nuove disposizioni fu costruito un cimitero in regione Ori (Turi). Negli atti di visita del vescovo Borromeo, del 1718, durante i lavori di ricostruzione della chiesa, si prescrive: “S’abbassi il sigillo della sepoltura che si dice della famiglia Dotti, sì che resti eguale al piano del pavimento della chiesa”. Da un inventario del 1761 risulta che nella nuova chiesa vi erano quattro sepolcri: “uno per i r. sacerdoti, l’altro per li confratelli, l’altro per le donne ed il quarto* per i fanciulli, con la rispettiva lapide al prescritto”.
Il Medoni ricorda varie calamità verifica tesi in questi anni. Nel 1748-49 si diffuse l’epizoozia del bestiame: “nel territorio di Arona e vicini perirono due terzi delle bovine”. 1753: “una terribile epidemia manifestatasi in Angera, Ìndi diramatasi in Meina ed in Lesa, per cui moriva un insolito numero di persone per una forte emorragia di sangue e ristagno al capo… venne dai fisici attribuita all’abuso del vino ed all’eccessivo calore della stagione”.
Verso la fine del secolo vengono inoltrate al vescovo molte richieste per la dispensa del matrimonio tra parenti di terzo grado, così motivate: “non trovandosi di collocare in eguale stato e condizione sì per l’angustia del luogo, come anche per essere in istato povero” . Tra il 1749 e il 1750, dal Governo di Novara arrivano lettere che mettono in guardia le comunità riguardo al passaggio di “alcune reclute provenienti da Stati Svizzeri destinate al servizio d’altre potenze”. Per queste milizie “siino li condottieri non meno che li uomini di recluta tutti trattenuti e ben custoditi”.
La supplica’ del 1769, relativa alla lite con Nocco, fa riferimento alle spese per mantenere le guardie a difesa dei ladri, e alle conseguenze di una forte tempesta. Con regie patenti del 20 maggio 1766 si prendevano misure “per l’estirpazione detti oziosi, vagabondi, borsaioli, ladri ed altri malviventi, non meno che detti mendicanti validi”; quali quella di “far battere le strade, per mezzo della pattuglia, sì di giorno che di notte”, e con “l’obbliga di far dare nette Decorrenze campana a martello per inseguire li detti ladri e stradaioli, e procurarne l’arresto”.
Del 1752 è l’editto dell’inquisitore generale, frate Pio Filippo Massara di Vigevano, che impone di denunciare entro 12 giorni tutti coloro che siano eretici o sospetti, che pratichino la negromanzia, che abbiano libri sospetti, che bestemmino, che partecipino a conventicole contro la Religione, ecc.
Per quanto riguarda le avversità atmosferiche, scriveva d. Picena: « la campagna, fertile per sé a biade, a foraggi, a frutta, ma troppo soggetta a clima freddo, incostante, grandinoso… ».
Più indietro nel tempo, le carte ricordano due furiose tempeste degli anni 1650-51, che colpirono il Vergante, “in modo che non vi è restato alcuno racolto, ne di grano, ne fieno, né altri frutti… per la qual causa parte detti abitanti dette ville di Baveno, Campirne, Somare, Levo et Cartiano sono morti di necessità, et parte hanno con la, lor famiglia abbandonata la propria casa et andati in altre parti a fare essercitii vari per non morire di fame”.
Non privo d’interesse è anche il testamento del prete Francesco Martellini, cappellano a Gignese, datato 1784, col quale dispone per il suo funerale una messa con 12 sacerdoti; inoltre di “distribuire o far distribuire un staio di sale ai poveri di Cristo detta terra di Gignese, opure in vece del detto sale distribuire ai detti poveri una forma di pane ben cotto, e perfezionato di segale s miglio”. Agli eredi impone che in caso di vendita dei suoi beni, la metà del ricavato vada ai poveri. Infine destina alla sua domestica, Domenica Maria Triscone, “una pezza dì terra campo dove si dice in Gruppo”.
Nel 1766 la comunità di Gignese decideva di ridurre in alpeggio il bosco comunale denominato “Ruscata, Massa e Tensa vecchia”.
Questa decisione incontrava l’opposizione di alcuni proprietari di un certo rilievo: il prete Pietro Antonio Filippetti, curato di Villalesa e Solcio; il prete Angelo Francesco Defilippis, penitenziere di Lesa, e suo fratello Giacomo Antonio; Giacomo Defilippis e suo fratello’, prete Giuseppe; Gio. Batta Ferraro; Angelo Filippo Defilippis .
Scriveva d. Picena: « J Defilippis erano coi Ferrari la famiglia nobile di Gignese,; ricchissimi avevano case e fondi a Gignese e a Lesa, avevano affari a Firenze, a Livorno. Religiosissimi donarono al parroco Ferrari le ossa di s. Desiderio, avute da Roma e lasciarono campi e vigne pel legato di questa festa. Iniziarono essi la funzione delle SS. Quarantore (1764), regalarono essi il quadro grande del Transitodi S. Giuseppe e favorirono i terrieri del pascolo concedendo liberi da vincoli il Pare e il Valiggione … Una via ricorda il munifico sac. Gioachino Defilippis, del quale esiste il legato annuale di certo peso di sale a tutti i focolanti del paese .

Portale a Gignese: in granito locale, sull' entrata della vecchia casa "Defilippis" nella via omonima
Da ricordare inoltre che, per legato di Giovanni Maria Defilippis del 31 ottobre 1791, il cappellano era tenuto a far scuola gratuitamente a quattro ragazzi. Un Giuseppe Antonio Defilippis fu parroco di Nocco dal 1785 al 1788.
Il De Vit li dice originari di Vezzo, e ricorda il prete Domenico De Filippi, curato di Villalesa e Selcio dal 1587 al 1592, il quale restaurò lai chiesa di S. Giorgio, facendo scolpire sull’architrave della porta d’ingresso l’immagine di s. Giorgio a cavallo, e il suo nome.
Anche i Filippetti sono un casato estinto in Gignese. Pietro Antonio F. fu vicario della commenda di S. Nazario, presso Biandrate, e nel 1739 curato di Villalesa. Promosse la fabbrica della nuova chiesa e compose le divergenze tra Lesa e Villalesa, attirandosi così l’odio degli uni e l’amore degli altri. Morì nel 1768 e fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio; sul suo tumulo si legge ancor oggi questa iscrizione:
— D.O.M. / PETRUS. ANTONIUS. FILIPPETTI / EX. GE-NESIO I AD. ANNOS. XXIX. HUIUS / ECCLESIAE. RECTOR / TRANSFIXAE. VIRGINIS. ERECTO. SODALITIO/ CONSILIO. OPE. PRAESENTIA / NOVI. TEMPLI. AUCTOR / AN. MDCCLXVIII. PRIDIE IDUS. SEPTEMBRIS / OBIIT / ANNORUM. LIX / PA-TRUI. AMANTISSIMI / IOANNES, BAPTIST A / MAERENS. PO-SUIT. — O.
Anche il canonico aronese Pietro Filippetti fu di questo casato. Ricordiamo infine, tra i sacerdoti, don Angelo Maria Armenali, che fu parroco di Magognino dal 1719 al 1765.
Da un documento del 1781 risulta che gli alpeggi comunali dati in affitto erano i seguenti: Sale, Tagliata, Ruscata e Cirisole. Il più remunerativo era quello della Tagliata, per il quale gli eredi di Bartolomeo Righini pagavano un affitto di 160 lire.

Vezzo: Oratorio Maria Assunta, presso il cimitero( XVIII sec.)
Nel 1753, il gignesino Giuseppe Triscone, forse un fratello di Domenica Maria, la domestica beneficiata da d. Martellini, che “caricha l’alpe di Torona” avuto in affitto da una Diana di Nocco, “paga lire 4 ìmp. all’anno atta comunità di Nocho per poter far pascolare le sue bestie nel boscho detta Falghera e prato chiamato Posciola”.
Don Picena ricorda che i Defilppis favorirono la comunità riguardo i pascoli del Pare e Valliggione, a nord del Motto Piombino. Il 18 giugno 1768 il sac. Angelo Francesco, penitenziere di Lesa, e fratelli Defilippis concedevano l’alpe Ceresole in livello perpetuo alla comunità di Gignese, e inoltre: Con atto diciotto giugno 1768 rogito Viani Ottaviano, relativamente a diritti di alpi e pascoli della comunità di Gignese, si stabilì fra gli altri il seguente patto, e cioè: “Che il sito denominato il Valleggiane e l’altro denominato la Pare, separati da ogni alpe detta comunità secondo restano terminati, non si passino tensare, né affittare, ma lasciarli sempre ed in perpetuo in piena libertà a tutti di detta comunità di Gignese per far pascolare le loro bestie, stramare, e far legna al pubblico necessaria. Ed a ciò contravenendo la detta comunità debba questa decadere dal beneficio della presente investitura livellarla, e ciò per il ben pubblico, e privato, e perché così resta espressamente convenuto”.
Testi e foto tratti dal libro “Leggende, memorie storiche, aspetti passati e attuali di un piccolo Comune di montagna” Agosto 1981