La Miniera
La giunta municipale di Nocco concedeva, con verbale del 1° dicembre 1859, ai signori Valle e Pagani la facoltà di ricercare minerali “nel tenimento Comunale detto Agogna”; costoro cedettero poi le loro ragioni alla “Società Francfort”, che proseguì nello sfruttamento . Il 4 novembre 1861, il sottoprefetto, da Pallanza, scriveva: “il sottoscritto prega il signor Sindaco di Gignese di far tosto pubblicare : tenore dell’articolo 26 della legge 20 novembre 1859, l’annesso decreto di permissione alla Società Inglese delle miniere di Brovello ed Agogna di lar ricerca di minerale nella località detta fondello e Piomberà in codesto territorio”. Il toponimo Piomberà compare già nel sommarione del catasto settecentesco. Le carte del ‘500 riportano due altri interessanti toponimi, localizzati presso le sorgenti dell’Erno: Ferrerà e Saxum Manninum. Quest’ultimo compare nell’Ottocento come Sasso Marino, che sta forse per materiale roccioso risultante dalla perforazione di gallerie. Scriveva il Boniforti, nel 1870: «Miniere di rame, di oro e di piombo, si discopersero lungo la costa del Vergante, nei dintorni di draglia e di Gignese fin da quando si intrapresero i lavori e l’opera di scavi per la strada del Sempione. Una di tali miniere, non ignota agli antichi, come si può ravvisare negli esistenti avanzi di gallerie e manufatti a grande profondità, fu presa a coltivare ai nostri giorni da una potente società inglese ». Che tali avanzi riguardassero la miniera di Gignese è confermato anche dal sac. Destefanis: « Anche nella galleria di una miniera di piombo ed arg&nto presso il fiume Agogna nel territoria di Gignese (regione chiamata “Meut Piombin”). abbandonata ad immemorabili, non si sa per qual motivo, e riaperta or sono pochi anni, si trovarono le fracide armature di larice ed abete legnami di cui abbondarono negli antichi tempi i nostri monti ». Proprio Ja presenza di questo tipo di legname porterebbe a retrodatare di parecchio lo sfruttamento della miniera. Ancora il Boniforti rileva sul Mergozzolo la presenza di torba: « im torba vi ha almeno, ove potei osservarla, un buon piede d’altezza; è composta non solo d’erbe palustri, ma anche di tronchi e rami di tarici (pianta che or colassù più non si vede) ». Il Buschini ricorda che « altri giacimenti di galena e di zinco sono afiorati nel territorio coirese, taluni dei quali, di lavorazione antica I or se romana, sono quelli, sfruttati ancora mezzo secolo fa, dell’alpe Feglia e del monte Piombino sul fianco orientale del monte Falò ». Con regio decreto del 1863, la Società Inglese ottiene in concessione una porzione di campo detta Agogna e Piombino. Due anni dopo il consiglio comunale accordava all’ing. Alfredo Wallenstein, domiciliato in Arona, il permesso di ricerca di minerali di piombo nella regione alpe Tensa, così delimitata: “A nord Comune di Vezzo; a est le concessione tombino-Agogna al commendator Franefori; a sud i Comuni di Nocco e Coirò; a ovest una retta condotta per le due sommità principali della giogaia che separa il versante dell’Agogna da quello del Pescane, a una distanza media di 1900 m. dalla suddetta concessione”.


Anche l’alpe Salmagitt è interessato da ricerche per opera di Gaetano Tessera di Armeno: “I limiti del terreno sono quelli del terreno detto pascolo Salmagetti di proprietà del sig. Alesina Giovanni, con esclusione della porzione data alla Società Inglese”. Notizie interessanti sulla miniera emergono da una “Relazione della parrocchia di Nocco”, curata dal parroco Bellini (1879): “l’opificio della cava del piombo, situato nel territorio di questo Comune, dove si trovano cento e più lavoratori. … I direttori della già accennata cava di piombo obbligano i lavoratori (di cui la massima parte è di Gignese, ed anche i lavoratori forestieri risiedono a Gignese per esser più vicini alla cava) ad occuparsi anche nei giorni di festa, minacciando multe e congedi qualora si astenessero, e nonostante le rimostranze già fatte niente ancora si è potuto ottenere. Se il signor vescovo volesse interessarsi per ridurre a migliori consigli quei direttori farebbe un gran bene a queste popolazioni”. Verso il 1877 c’è un cambio di proprietà, subentrando alla Società Inglese la Società Genovese delle Miniere. Se la miniera portava lavoro, creava però anche problemi: oltre al riposo festivo emergono i danni alle strade e l’inquinamento. Nel 1881 i sindaci di Borgomanero, Ameno, Briga, Invorio Inf., Miasino, Bolzano N., Cozzano e Fontaneto A., denunciano la Società Genovese per l’inquinamento dell’Agogna; la società risponde che lo stabilimento per il lavaggio del materiale estratto era stato chiuso il 31 dicembre 1880. Agli inizi del ‘900 la concessione governativa per lo sfruttamento della miniera è di proprietà della società The Brescia Minning and Me-tallurgical C. Ltd. di Glasgow, e da questa, nel 1904 ceduta al Ping. Giuseppe Pucci Baudana e al sig. Ilario Sery, i quali costituiscono la Società Anonima Miniere di Agogna e Motto Piombino. Tale società, nel 1909 è esercitata dalla Società Mineraria Novarese, della quale il Pucci è amministratore delegato. In coincidenza con tale passaggio di proprietà, gli operai sono in sciopero. Nel 1914, Vincenzo Guzzi, già amministratore delegato della Società Mineraria Novarese e suo fratello Ulisse, proprietari della Miniera di Gignese, chiedono il permesso di ricerche di minerali di piombo, zinco e rame, nelle località alpe Fery e Guasto. La concessione governativa passa in diverse mani: nel 1917 dai Guzzi alla Società Anonima di Nebida (Sardegna); nel 1925 alla Società Chimica Lombarda A. E. Bianchi e Co. di Rho; nel 1929 ad una Società Anonima Miniere di Gignese con sede a Milano. Nel 1936 questa società chiedeva un finanziamento per la riapertura della miniera, chiusa dal 1928: “La nostra miniera, allo stato di sua coltivazione attuale, promette un avvenire ottimo, tale da far rifiorire nel nostro Comune un’industria mineraria di prim’ordine”. Il Corpo Reale delle Miniere di Torino rispondeva invece che “la povertà della mineralizzazione non consente una proficua ripresa dei lavori”. Due anni dopo è la Rumianca a chiedere il permesso per ricerca di minerale arsenicale, da impiegare nello stabilimento di Pieve Vergente. Il 12 dicembre 1938 la Società Anonima Miniere di Gignese, in liquidazione, rinuncia alla concessione mineraria. Si fanno avanti diversi potenziali acquirenti finché, nel 1943, la concessione è affidata alla S.A.l.M.E. (Società Anonima Italiana Mineraria Estrattiva) di Napoli, che però non effettua nessun lavoro.
Il 26 aprile 1944 la Società Ceramica Italiana di Laveno Mombello chiede di subentrare alla S.A.l.M.E., in quanto necessita del piombo e zinco “per gli smalti dei propri manufatti, minerali sempre più scarseg-gianti sul mercato nazionale, specie dopo l’occupazione della Sardegna, ove maggiormente tali prodotti sono coltivati”. La richiesta è accolta dalla prefettura di Novara. Nel 1953 la concessione è invece in possesso del per. ind. Luigi Maglia a nome della Società Industria Mineraria Italiana di Milano, la quale estende le ricerche ai comuni limitrofi e per altri minerali: solfuri di ferro, rame e arsenico. Anche VAgip Mineraria compie rilievi sismici nel territorio, “a scopo di ricerche petrolifere per conto dello Stato”. In merito alla richiesta della ditta Bruno Sanna per permesso di ricerche minerarie, il sindaco scriveva che la Società Industria Mineraria Italia, “ha iniziato i lavori alla miniera del Motto Piombino verso la fine del febbraio 1953 e li ha continuati progressivamente in crescendo fino a tutto agosto 1953”.



Tale società nel 1954 manteneva ancora due operai in servizio per la custodia e manutenzione delle gallerie ed impianti. Il Corpo Miniere di Torino accordava infine, il 18 marzo 1955, alla Società Valsesia per l’Industria Mineraria una concessione per lo sfruttamento della miniera della durata di due anni. Nel 1957 veniva accordata una proroga di altri due anni, ma nel 1959 la società si era resa irreperibile. Il sindaco scriveva che “la Società Valsesia ha lavorato sin quasi alla fine del 7957. La stessa Società è ora rappresentata dai titolari della Ditta De Tornasi e Milani con sede in Busto Arsizio”. In realtà la Valsesia era già in difficoltà nella primavera del ’56, e nel mese di dicembre ne veniva chiesto il fallimento. Iniziava così una lunga vertenza per la liquidazione degli operai e dei fornitori; verso questi ultimi il debito ammontava a L. 750.913, pagati al 90%. Nel 1965 la ditta Giuseppe Poletto di S. Giorgio di Perlana (Vicenza) chiedeva di poter rimettere in efficienza la miniera; ma la pratica non ebbe seguito. Le gallerie sono ormai chiuse e gli scarichi di materiale attirano solo gli appassionati di mineralogia.