Gli Statuti

Verso la metà del ‘300 il Vergante, Lesa e la castellanza di Meina, entità territoriali distinte per vicende storiche non del tutto chiarite, ma unite giurisdizionalmente nel districtus Vergantis, si dotarono di propri Statuti, approvati dall’arcivescovo di Milano. Questa legislazione di carattere generale era valida per tutti i villaggi del distretto, i quali però, per il tipo di economia che li carat­terizzava, erano quotidianamente coinvolti in particolari questioni che gli statuti generali non contemplavano. Da qui la necessità di fornirsi di quegli strumenti giuridici in grado di dirimere le controversie che dovevano insorgere più di frequente. Per tali motivi questi ordini finiscono per assomigliare più a Bandi Campestri che non a disposizioni legislative vere e proprie. Anche Gignese, se già non ne aveva di precedenti, si dotò di propri statuti nel 1521, approvati dal feudatario, conte Federico Borromeo, nel maggio del 1522.

Il testo statutario, scritto in latino e conservato in Archivio Comunale, consta di 38 capitoli, non organizzati secondo materia omogenea. L’organizzazione strutturale della comunità è fondata sulla vicinanza, o assemblea dei vicini, i quali sono: elemento attivo della vi­cinanza e degli organismi comunali (consoli, credenziari, campar! e vaccari) nel godimento di tutti i beni della comunità; elemento passivo nel sottostare agli obblighi ed alle prestazioni personali e reali imposte dagli Statuti e dagli amministratori del Comune a tutti i vicini.

Il 15 gennaio 1521, nella pubblica piazza di Gignese, i campati, al suono della tapula, convocarono la vicinanza del paese per approvare, davanti al notaio di Stresa Giacomo Ottolini, gli Statuti fatti e ordi­nati dal console Giovanni Colla. I capifamiglia sono 43, per un equivalente di circa 250-300 abitanti. Le famiglie elencate sono: Adorna, Allegranza, Aluisi, Ambrosini, Angelina, Armignale, Baroli, Bottini, Caselle, Colla, Cumini, Filippi, Maddalena, Martinetti, Prini, Rampone, Righini, Roncano, Subinani, Toma e Zanone.

Gli statuti di Gignese: risalgono al 1521 e sono conservati presso il Comune di Gignese

I capitoli, con qualche nota di chiarimento, sono i seguenti:

  1. Della elezione dei consoli. Eletti a turno, fra tutti i capifamiglia, restavano in carica 6 mesi: dal 1° gennaio alla festa di s. Pietro.
  1. Dei credenziali o estimatori e del loro giuramento. I credenziari erano tre: due ordinari, eletti a turno tra i capifa­miglia, sceglievano il terzo a loro discrezione. Restavano in carica un anno, ed avevano il compito di stimare i danni e fissare le imposte.
  1. Dei campati e del loro giuramento. I campati, eletti a turno, erano due e restavano in carica un anno.
  1. Del compenso per il console. Viene stabilito come salario un sesto di ogni ammenda e risarci­mento riscosso nei procedimenti d’accusa.
  1. Del compenso per i credenziari o estimatori. A ciascuno 4 soldi imperiali per ogni imposta applicata, e 6 denari per ogni stima fatta.
  1. Del compenso per i campar!. Quattro lire a ciascuno, addebitate per turno ad ogni famiglia del paese dai credenziari.
  1. Dellacustodia alle vacche e del modo di farla. La custodia in comune dei bovini è stabilita per turno e per un totale di giorni equivalente al numero delle bestie del custode pre­scelto. Il vaccaro deve essere persona idonea e degna di fede. Se qualche bestia rimanesse danneggiata sotto la sua custodia è tenuto al risar­cimento secondo la stima dei credenziari.
  1. Che il vaccaro sia tenuto, su richiesta dei consoli, ad andare sul pascolo.
  2. Che il vaccaro sia tenuto a battere la tapula quando va sul pascolo. La tapula (tipetap) era uno strumento a percussione, usato ancora fino a non molti anni fa, con il eri o raganella, durante la Passione, quando le campane erano legate. Era formato da un asse di legno con un battente in ferro, e serviva ad avvisare i proprietari della partenza e dell’arrivo dei bovini, nonché a convocare la vicinanza.
  1. Che le bestie si intendano affidate al vaccaro solo quando si ritrovano sotto la sua custodia in certi luoghi. La zona, dal ride di Aurilio in su, dovrebbe corrispondere ai pa­scoli oltre l’Erno (Airola e Scoccia).
  1. Che il vaccaro non vada nei sassi banditi. La zona è così delimitata: dal guado sul riale Collarine fino al sasso Zumella; dal sasso grande del Cugno, in mezzo alla Pettata, fino al sasso Mannino, tranne i sentieri; dal sasso Scogie, dov’è una delle sorgenti dell’Airola (o Scoccia) fino a Carega e verso Cugno. In altre parole la zona di confine con Vezzo.
  1. Che il vaccaro possa tener per sé le bestie morte, secondo la stima dei credenziari.
  2. Che il console possa rendere giustizia agli uomini di Gignese fino alla somma di 20 soldi imperiali.
  3. Che i campari siano tenuti a rifondere il danno, quando non abbiano consegnato il malfattore.
  4. Della pena per coloro che non abitano a Gignese e che arre­cano danni nel suo territorio. E’ fatto divieto ai forestieri di passare col bestiame, o di farlo pa­scolare, sul territorio di Gignese; come pure di tagliarvi legna, aspor­tare legname o frutti, raccogliere strame e far danni. La multa è di 3 lire nel caso di troppa di bestie (superiore cioè a 12 capi), di 20 soldi se bestia grossa, di 10 soldi se bestia minuta.
  1. Della pena per gli abitanti di Gignese che arrecano danno. Con alcune varianti ripete quanto stabilito nel capitolo precedente.
  2. Del pascolo libero nei prati grassi e magri solo nelle epoche stabilite. Divieto di pascolare nei prati magri dal 1° maggio fino a S. Maurizio; nei prati grassi dalla festa della Madonna di marzo fino a S. Mi­chele.
  1. Che nessuno tagli il fieno terzolo sui prati grassi di sua proprietà. Il terzolo (terzól) è il terzo taglio del fieno, dopo il maggengo e l’agostano (arigòrda risìu).
  1. Del non restringere o ostruire le strade pubbliche. Le strade devono essere sgombre e di larghezza idonea al transito di carri e buoi. La multa è di 10 soldi.
  2. Del non scaricare acqua nelle strade. La multa è di 5 soldi.
  3. Che i proprietari di fondi lungo le strade siano tenuti alla manutenzione di dette strade. La multa è di 10 soldi.
  4. Del non lavare panni e immergere paioli in certe fontane. Le fontane sono queste: di Rossa (de Ruhea), di Roncario, di Pa­sque, del Nespolo, di Armignale, Fontanaccia. La multa è di 5 soldi.

Crèe detto anche « Ca' dal Gnoch»: la più antica casa di Gignese come si presenta oggi.

  1. Delnon stabulare bestie dei forestieri. Oltre i due giorni la multa è di 20 soldi.
  1. Che nessuno osi proferire ingiurie contro alcuno durante l’assemblea. La multa è di 5 soldi.
  1. Che nessuno osi bestemmiare Dio e i Santi. La multa è di 10 soldi.
  1. Di coloro che lavorano nei giorni festivi. Le feste votive, nel 1595, erano le seguenti: s. Defendente, s. Maiolo, s. Eustacchio, s. Margherita, Sette Fratelli, s. Maria Maddalena, s. Apollinare, Madonna della Neve, s. Bernardo; la popolazione chiedeva però la dispensa dal riposo festivo “per la grande sua povertà”.
  1. Del non vendemmiare prima del tempo. Ora più non si vendemmia a Gignese; rimane solo la località I Vign. La multa è di 10 soldi.
  2. Del convocare l’assemblea vicinale al tempo in cui si fissano le imposte e gli altri oneri.
  3. Che il console sia tenuto a convocare la vicinanza ogni quindici giorni, e far sì che i campar! dian relazione delle accuse.
  4. Del non suonar le campane. La campana scandiva il ritmo della giornata, chiamava a raccolta la popolazione, avvisava di un pericolo. Chi la suonasse senza legittimo motivo era multato di 5 soldi.
  1. Del non portare paglia accesa. Con i tetti in paglia e i fienili in paese il pericolo di incendi era sempre incombente. La multa è di 5 soldi.
  1. Che ogni capo di casa sia tenuto a partecipare alla vicinanza. Ogni decisione riguardante gli interessi del paese veniva approvata da almeno i due terzi dei capifamiglia. In atti del ‘500, a sostituire gli uomini assenti, per raggiungere tale maggioranza intervengono alla vi­cinanza anche le donne. La multa è di 5 soldi.
  2. Della pena per chi taglia l’erba del Comune. La multa è di 10 soldi.
  3. Della pena per coloro che rifiutano il pegno ai campari. La multa è di 5 soldi.
  4. Che nessuno possa cuocere il pane in altro forno che in quello della comunità. A chi non avesse un forno proprio era fatto obbligo di cuocere il pane solo nei forni designati dal console. La multa è di 5 soldi.

36.    Che nessuno giochi a carte o a dadi. La multa è salata: 20 soldi.

37.    Che nessuno di Gignese ardisca macinare qualsivoglia biada, salvo che al molino designato dal Comune di Gignese. Si ripete il caso del cap. 35, ma l’infrazione è più grave: 20 soldi di multa.

38.    Del ripartire i proventi delle ammende. Un sesto ai consoli; il rimanente diviso in metà: una parte ai campari ordinari e l’altra parte divisa tra le famiglie.

L’approvazione da parte del Borromeo è del maggio 1522; il ritardo è forse da mettere in relazione alle vicende della famiglia, in quegli anni legata alle alterne fortune dei Francesi.

La convalida è subordinata ai diritti del feudatario ed alle norme degli Statuti del Vergante. Il Borromeo motiva la sua approvazione: “anche avendo riguardo sia alla loro fiducia nei nostri confronti, sia agli incomodi che spesso sopportano mentre pratichiamo la caccia in quel territorio”. Territorio che doveva essere ancora ricco di selvag­gina, se il Macaneo, sul finire del ‘400, ricordava per le terre del Lago Maggiore, che “tra le fiere si vedono lupi enormi e orsi panciuti; e gran numero di cervi irrequieti, di caprioli, di capre, di volpi, di lepri ospi­tano i luoghi boscosi”

Testi e foto tratti dal libro “Leggende, memorie storiche, aspetti passati e attuali di un piccolo Comune di montagna” Agosto 1981