Il dialetto
“La parlata è senza dubbio la forma più eminente di identificazione di una comunità”.
Nonostante l’omogeneità, tra paese e paese diverse sfumature d’accento o di cadenza permettevano di cogliere il paese di origine dell’interlocutore. L’attuale dialetto gignesino, per tutti i motivi fin qui esposti di immigrazione e di sostituzione delle casate più antiche, ha perso quelle sue peculiarità che un tempo dovevano maggiormente distinguerlo dai dialetti dei paesi vicini, per arrivare ad un compromesso fra parlate diverse. Nell’area dei dialetti gallo-italici, le terre situate tra il Ticino e il Sesia hanno una posizione cuscinetto tra le parlate piemontesi e quelle lombarde. I dialetti di queste terre sono generalmente indicati come novaresi e per Io più assimilati alla famiglia linguistica lombarda. Nell’ambito di questi dialetti novaresi il bacino del Lago Maggiore e dell’Ossola risulta legato ad influssi ticinesi e lombardi; mentre nel Cusio e Medio Novarese il collegamento con le parlate lombarde è largamente condizionato da un influsso piemontese marcato.
I dialetti gallo-italici sono normalmente così caratterizzati:
- a)perdono le vocali finali diverse da -A, per esempiobm “uomo”, dés “dieci”, rei “rete”; di fronte a stèla “stella”.
- b)accolgono la pronuncia O per la Ulatina: fiitn “fumo”, scùr “scuro”, fiis “fuso”, lùm “lume”. Come pure la O per il dittongo italiano UO: noti “nuovo”, óu “uovo”.
- c)eliminano le consonanti doppie:ròta “rotta”, bela “bella”, rósa “rossa”.
- d)leniscono le consonanti occlusive in posizione intervocalica:roda “ruota”, videi “vitello”, nivód “nipote”; arrivando anche alla caduta completa: cua “coda”, puà “potare”, scua “scopa”.
- e)danno una pronuncia speciale alla N sia in posizione intervocalica che finale:lan-a “lana”, pón “pane”.
La tendenza settentrionale ad eliminare il passato remoto ed a ridurre le desinenze comporta la valorizzazione del pronome personale, spesso ripetuto: mi a disi “io dico”.
Piemontese e lombardo si differenziano però per il diverso esito della vocale chiusa E, che in Piemonte ha subito la dittongazione in EI: teda “tela”; mentre in Lombardia appare sia con la E aperta di tela, sia con la I di sira “sera”.Tratto distintivo del piemontese è la palatalizzazione di A in E riscontrabile nell’infinito dei verbi della 1* coniugazione: caute, mangè “cantare, mangiare”, contro il lombardo canta, mangia. La parlata gignesina segue l’esito lombardo per l’infinito, ma quello piemontese per la 1″ persona plurale: cantùma, mangiùma, contro il milanese in –ètnm.
Per quanto riguarda il gruppo -CT-, il nostro dialetto segue la soluzione lombarda di palatalizzazione progressiva del tipo fac’ in confronto di quella regressiva del tipo fait propria del Piemonte. Segue invece lo schema piemontese con le soluzioni dei gruppi di L con consonante, come nei casi di aut, caud, faus “alto, caldo, falso”.
Non mancano inoltre alcune tracce di metafonia, ossia il cambiamento del colore della vocale tonica come elemento di distinzione tra maschile e femminile e tra singolare e plurale, che un tempo doveva essere verosimilmente molto più diffusa. La differenza tra il singolare butón “bottone” e il plurale butùgn; tra il maschile dui “due” e il femminile dò; tra il singolare lanzo “lenzuolo” e il plurale lanzói, sono esempi di concordanza con un’area che, dal Canavese e dal Biellese, giunge all’Alto Novarese e al Canton Ticino.
Altro fenomeno fonetico, questa volta però più specificamente di tipo piemontese arcaico, è quello del passaggio dalla vocale tonica davanti a nasale o consonante doppia ad un suono indistinto: poss “pesce”, kón “cane”, pòn “pane”. La varietà di questi suoni indistinti, che non sempre è possibile rendere graficamente, si può riscontrare nei tipi: nou “nuovo”, cròt “fossato”, bók “caprone”.
Parole tipiche dell’area piemontese sono il verbo dame (dama) “chiamare”, ma anche “domandare”; cuntè (ciintà) “contare”, ma anche “raccontare”; matai “ragazzi”; scusai, laudai “grembiule”; vischè (viskà) “accendere”; oj “si”; losna “lampo, fulmine”; cioca “campanaccio”; fioca “neve”; barba “zio”; queste ultime estese anche alla zona lombarda occidentale.
Ma ormai il dialetto muore: i giovanissimi non lo conoscono o non lo parlano. Alcune parole tipiche hanno subito una trasformazione dialettale in senso moderno, mentre le nuove parole vengono assimilate in modo anomalo. La crisi del dialetto è la crisi di una tradizione orale, di espressioni e di voci cavate da lunghi secoli di attività legate alla terra e al ciclo delle stagioni, che non trova vocaboli rispondenti alle nuove esigenze sociali e culturali. Il suo recupero potrebbe attuarsi solo nel caso si trovasse il modo di approntare un sistema facile ed efficace di trascrizione e di lettura… ma questa è un’altra storia.
Testi e foto tratti dal libro “Leggende, memorie storiche, aspetti passati e attuali di un piccolo Comune di montagna” Agosto 1981